Settimana n. 39
9 luglio 2019 - 15 luglio 2019
La commessa del supermercato di Tardos alza gli occhi al cielo quando le parliamo in inglese. Compaiono le frecce del Cammino di Santiago: nel senso inverso si va a Gerusalemme, e allora nella chiesa di Tarjan timbriamo le credenziali, cartelloni informano che in Ungheria si trovano albergue e ostelli convenzionati.
Questa è terra di vino, lungo la via le casette sono cantine e frasche, in una piazzetta frecce che indicano i vari vitigni coltivati sulle colline della zona.
Szent Laszlo-Palak è tutta contornata da casette in legno a palafitta ognuna con un casottino wc, su alcune l'avviso Eladó, in vendita.
Un percorso in mezzo ai campi, di cui resta solo una vaga traccia, sale in collina tra gelsi e prati recintati in cui pascolano daini, abbandona la Jerusalem Weg (diretta a Budapest) e ci fa arrivare a Csabdi con un percorso ciclopedonale. Al bar Patakparti Költőhely il primo caffè ungherese, già zuccherato e cremoso, quasi shakerato, la barista (come vedremo fare spesso in Ungheria) batte uno scontrino per ogni prodotto consumato.
La Ciclopedonale illuminata prosegue verso Bicske, cittadina dal centro spoglio, un tentativo di abbellimento sono grappoli di gerani rossi su ogni palo della luce.
Vogliamo arrivare al ponte di barche di Ercsi, nettamente a sud di Budapest, ci incamminiamo lungo una strada abbandonata, ai lati una centrale elettrica, fabbriche, campi coltivati e cumuli di elettrodomestici buttati via. Improvvisamente un cancello, corrente elettrica e filo spinato, chiude la strada, aldilà un cavallo ci osserva e scappa, intorno un immenso e intransitabile campo di girasoli. Ritorniamo sui nostri passi, e rinunciamo al ponte di Ercsi.
Strade di campagna e un bucolico laghetto frequentato da pescatori, appena dopo una vastissima cava profonda decine di metri ci imbianca di polvere. Botpuszta, svuotata quando i turchi la occuparono nel XVI secolo e ne deportarono gli abitanti, poi rinata a fatica, che ci sorprende con cantine, fresche frasche e vigne, come Etyek, città di vino e di acque sulfuree, per ricordarci che Budapest è l’unica capitale al mondo dove non c’è che l’imbarazzo della scelta tra le tante acque termali che, dicono, facciano ringiovanire.
Campi di mais e ancora girasoli per andare a ritrovare il Danubio al ponte di Nagytétényi, ora quartiere al sud di Budapest, ma nel passato cittadina autonoma nata dove sorgeva il forte romano di Campona, ricordato nel nome di un centro commerciale dove si trova di tutto, anche il Tropicarium-Oceanarium. File ordinate di persone dagli sguardi spenti davanti ai negozi.
Proseguiamo a sud per liberarci dalla città, dalle case, dal traffico. Una stradetta lungo il Danubio tra bosco e prati, che scopriamo essere privata e vietata quando veniamo bloccati da due operai; passiamo all’argine prativo di Halasztelek e Tököl, sull’altra riva del fiume Százhalombatta (Cento tumuli, così si traduce il nome in italiano) ha tumuli funerari dell’Età del Bronzo, è stata limes romano, e il Matrica Museum racconta storia e archeologia, in contrapposizione poco a Sud un'enorme e puzzolente industria chimica.
I segnavia continuano su piste di terra fine e sabbiosa che ci ricoprono di polvere. Ancora mais, cereali e girasoli tra Szigetcsép e Szigetújfalu, toponimi che ci ricordano che stiamo camminando su un’isola (sziget) tra due rami del Danubio.
Troviamo il ponte per ritornare sulla terraferma spostandoci a est, a Ráckeve, cittadina elegante e turistica famosa per il più antico monastero dei migranti serbi in Ungheria e per il Savoyai-kastély, fatto erigere dal Principe Eugenio di Savoia che qui regnò nel XVIII secolo.
Riprendono le coltivazioni intensive verso Apaj, una zona umida annuncia il Kiskunsági Nemzeti Park, riserva della biosfera e patrimonio UNESCO. Recinti a delimitare un paesaggio piatto e stepposo, sterile e inospitale: è la pustza, il bassopiano ungherese percorso da allevatori che seguono a cavallo le mandrie al pascolo, e habitat per sterne, quaglie, poiane e le protette otarde. Ancora piste sabbiose e un’area di alberghi rurali di lusso tra Kunpeszér e Kunbaracs.
Automobili e carri trainati da cavalli si fermano per offrire passaggi. Cambia il contesto e sono boschi d’acacie, in cui canta il rigogolo, che donano ombra fino a Kerekegyháza. Cittadine un po’ tristi, che siccità e vento stanno spingendo a sostituire l’attività agricola con l’allevamento, specie di galline ovaiole.
Chilometri di ciclopedonale ed ecco Kecskemét, ottava città ungherese, chiese e palazzi storici, parchi, musei, persino quello dell’arte naïf e il Magyar Fotográfiai Múzeum. Piste agricole nel bassopiano giallo di girasoli e verde di mais: nessuno in giro, nemmeno i contadini. Un groviglio di sterrate e di recinti per i coltivi, più semplici da percorrere gli otto chilometri di rettilineo per arrivare a Bokros, poco più di un pugno di casette basse racchiuse tra quattro strade parallele e la chiesa in un parco.
Questa è terra di vino, lungo la via le casette sono cantine e frasche, in una piazzetta frecce che indicano i vari vitigni coltivati sulle colline della zona.
Szent Laszlo-Palak è tutta contornata da casette in legno a palafitta ognuna con un casottino wc, su alcune l'avviso Eladó, in vendita.
Un percorso in mezzo ai campi, di cui resta solo una vaga traccia, sale in collina tra gelsi e prati recintati in cui pascolano daini, abbandona la Jerusalem Weg (diretta a Budapest) e ci fa arrivare a Csabdi con un percorso ciclopedonale. Al bar Patakparti Költőhely il primo caffè ungherese, già zuccherato e cremoso, quasi shakerato, la barista (come vedremo fare spesso in Ungheria) batte uno scontrino per ogni prodotto consumato.
La Ciclopedonale illuminata prosegue verso Bicske, cittadina dal centro spoglio, un tentativo di abbellimento sono grappoli di gerani rossi su ogni palo della luce.
Vogliamo arrivare al ponte di barche di Ercsi, nettamente a sud di Budapest, ci incamminiamo lungo una strada abbandonata, ai lati una centrale elettrica, fabbriche, campi coltivati e cumuli di elettrodomestici buttati via. Improvvisamente un cancello, corrente elettrica e filo spinato, chiude la strada, aldilà un cavallo ci osserva e scappa, intorno un immenso e intransitabile campo di girasoli. Ritorniamo sui nostri passi, e rinunciamo al ponte di Ercsi.
Strade di campagna e un bucolico laghetto frequentato da pescatori, appena dopo una vastissima cava profonda decine di metri ci imbianca di polvere. Botpuszta, svuotata quando i turchi la occuparono nel XVI secolo e ne deportarono gli abitanti, poi rinata a fatica, che ci sorprende con cantine, fresche frasche e vigne, come Etyek, città di vino e di acque sulfuree, per ricordarci che Budapest è l’unica capitale al mondo dove non c’è che l’imbarazzo della scelta tra le tante acque termali che, dicono, facciano ringiovanire.
Campi di mais e ancora girasoli per andare a ritrovare il Danubio al ponte di Nagytétényi, ora quartiere al sud di Budapest, ma nel passato cittadina autonoma nata dove sorgeva il forte romano di Campona, ricordato nel nome di un centro commerciale dove si trova di tutto, anche il Tropicarium-Oceanarium. File ordinate di persone dagli sguardi spenti davanti ai negozi.
Proseguiamo a sud per liberarci dalla città, dalle case, dal traffico. Una stradetta lungo il Danubio tra bosco e prati, che scopriamo essere privata e vietata quando veniamo bloccati da due operai; passiamo all’argine prativo di Halasztelek e Tököl, sull’altra riva del fiume Százhalombatta (Cento tumuli, così si traduce il nome in italiano) ha tumuli funerari dell’Età del Bronzo, è stata limes romano, e il Matrica Museum racconta storia e archeologia, in contrapposizione poco a Sud un'enorme e puzzolente industria chimica.
I segnavia continuano su piste di terra fine e sabbiosa che ci ricoprono di polvere. Ancora mais, cereali e girasoli tra Szigetcsép e Szigetújfalu, toponimi che ci ricordano che stiamo camminando su un’isola (sziget) tra due rami del Danubio.
Troviamo il ponte per ritornare sulla terraferma spostandoci a est, a Ráckeve, cittadina elegante e turistica famosa per il più antico monastero dei migranti serbi in Ungheria e per il Savoyai-kastély, fatto erigere dal Principe Eugenio di Savoia che qui regnò nel XVIII secolo.
Riprendono le coltivazioni intensive verso Apaj, una zona umida annuncia il Kiskunsági Nemzeti Park, riserva della biosfera e patrimonio UNESCO. Recinti a delimitare un paesaggio piatto e stepposo, sterile e inospitale: è la pustza, il bassopiano ungherese percorso da allevatori che seguono a cavallo le mandrie al pascolo, e habitat per sterne, quaglie, poiane e le protette otarde. Ancora piste sabbiose e un’area di alberghi rurali di lusso tra Kunpeszér e Kunbaracs.
Automobili e carri trainati da cavalli si fermano per offrire passaggi. Cambia il contesto e sono boschi d’acacie, in cui canta il rigogolo, che donano ombra fino a Kerekegyháza. Cittadine un po’ tristi, che siccità e vento stanno spingendo a sostituire l’attività agricola con l’allevamento, specie di galline ovaiole.
Chilometri di ciclopedonale ed ecco Kecskemét, ottava città ungherese, chiese e palazzi storici, parchi, musei, persino quello dell’arte naïf e il Magyar Fotográfiai Múzeum. Piste agricole nel bassopiano giallo di girasoli e verde di mais: nessuno in giro, nemmeno i contadini. Un groviglio di sterrate e di recinti per i coltivi, più semplici da percorrere gli otto chilometri di rettilineo per arrivare a Bokros, poco più di un pugno di casette basse racchiuse tra quattro strade parallele e la chiesa in un parco.
Percepisco un contesto meno ospitale ma pieno di incontri 'animali' che probabilmente vi hanno aiutato a concentrarvi sul territorio. Chissà quante interessanti fotografie!
RispondiEliminaYclavfapo-roEugene Joe Beltran https://ne.rocvideopromo.com/profile/paulieuntamedpaulie/profile
RispondiEliminaperpgogfettni